L'ingegnere e il carpentiere

Processi di miglioramento dell'efficienza dei servizi pubblici, finalizzati al contenimento dei costi, non sono più rinviabili. Non grida manzoniane o decreti che mettano alla gogna i dipendenti pubblici, ma pazienti e costanti processi di change management, che abbiano i costi come cartina di tornasole. Occorre d'altra parte essere consapevoli che l'avvio effettivo di cambiamenti che incidano sulle pratiche di lavoro e sui servizi erogati è un processo complesso, i cui tempi non sono dettati solo dalla volontà politica.

Il cambiamento ad un certo punto si innesca, ma con tempi e ritmi molto diversi da quelli ai quali l'innovazione organizzativa ci ha abituato in altri settori, ed anche molto distanti dalle necessità dichiarate in sede istituzionale nel momento di avvio del cambiamento normativo. È necessaria una (lunga) fase di scongelamento, di abbandono dei modi di pensare obsoleti, delle abitudini lavorative e delle soluzioni consolidate per affrontare i problemi. Occorre un processo prolungato e ripetuto di ri-costruzione di senso, che riempia il vuoto lasciato dalla perdita di senso derivante dai mutamenti nella funzione pubblica del passato.

A tal proposito, la comprensione delle dinamiche dei processi decisionali inerenti il welfare sembra utile per riflettere su alcuni riferimenti concettuali e metodologici provenienti dall'analisi delle politiche pubbliche. Una policy, infatti, non è semplicemente un "ambito di intervento concreto" della politica, ma un insieme di decisioni e di attività che sono collegate alla soluzione di un problema collettivo, relativo ad un bisogno, domanda, opportunità di intervento pubblico. L'analisi delle politiche pubbliche, come è noto, non si focalizza sul momento decisionale in senso stretto, ma cerca di capire la decisione a partire da modelli più articolati di analisi: gli attori che intervengono, i loro interessi e le risorse che possono mettere in gioco; la posta in gioco; le modalità di interazione; il contesto della decisione. Il contesto cognitivo della decisione può essere modificato anche da una raccolta di informazioni utili alle decisioni (Einaudi diceva: conoscere per deliberare), o nel proporre un benchmarking con le soluzioni più efficaci e sperimentate.Libro Comune rimosso
La riflessione è partita con il ricostruire la evoluzione storica del sistema di welfare a Verona (M. Carbognin, Il Comune rimosso, Cierre Edizioni, 2015), che si conferma, come in tutto il paese, caratterizzato da grande frammentazione, nelle policy, negli attori, nei target dei servizi. Il sistema assistenziale italiano è obsoleto e inadeguato. Va riformato non per ridimensionarlo e fare cassa, ma per meglio considerare e trattare i bisogni sociali e assistenziali, per sviluppare una sussidiarietà non ridotta a semplice privatizzazione. Al di là delle dichiarazioni, la spesa assistenziale è poco redistributiva, anzi a volte crea diseguaglianze, ed i modelli di gestione sono incoerenti e stanno diventando economicamente insostenibili.
Come nell'industria e nei servizi, anche nel welfare occorre capire come si sviluppano sistemi di innovazione, ricostruendo la divisione del lavoro innovativo tra gli operatori di questi sistemi: il ruolo di regia, ma anche di sperimentazione e di gestione del "pubblico"; il ruolo ideativo, progettuale e di gestione del privato-sociale; l'integrazione nei finanziamenti e nel sostegno di determinati rischi del settore assicurativo; il privato profit per taluni target di utenti caratterizzati da una sufficiente possibilità di pagare.
Ma il riordino e il rilancio del welfare pubblico esige anche una seria spending review, basata su valutazioni di efficacia e di efficienza delle policies, non su tagli indiscriminati a monte. Ciò significa benchmarking , verifica, "piani industriali" , per un'amministrazione che costi meno e funzioni meglio: le norme generali servono poco, servono piani di azione specifici e locali. L'efficacia della spending review è in stretta relazione con la revisione dell'organizzazione dei servizi. Non si tratta solo di eliminare sprechi e inefficienze, cosa ovviamente da fare, ma senza illudersi che i problemi si risolvano solo in questo modo. In una città media, un servizio tecnico per la manutenzione delle strade e degli edifici pubblici decentrato nei quartieri provoca in genere costi più alti e qualità più bassa. La gestione diretta, ormai quasi scomparsa, delle mense costa certamente di più di una gestione appaltata a soggetti specializzati nella preparazione dei pasti. E così via.
È impossibile affidare la spending review solo alla politica. La spending review, al centro come in periferia, mette in causa il ruolo della dirigenza. È molto difficile che il ridisegno del perimetro delle policies lo facciano i politici (e certamente non da soli). Essi finora hanno per lo più preferito i tagli lineari (decisi dalla Ragioneria dello Stato o dall'assessore al Bilancio) all'assunzione diretta di responsabilità di scelte impopolari.
Il ruolo centrale svolto dal management pubblico nei processi di policies è assolutamente ovvio per gli addetti ai lavori, siano appunto dirigenti pubblici, esperti o studiosi. Meno scontato nell'immaginario collettivo, nell'opinione pubblica, nei media, nei quali l'ideologia della separazione tra indirizzo (dei politici) e gestione (intesa spesso come mera esecuzione, da parte della burocrazia), finisce spesso per presentare il ruolo della dirigenza come mero freno a processi decisionali ben altrimenti efficienti. L'ipertrofia del ruolo politico ha portato a sottovalutare questo ruolo, ma qualsiasi intervento riguardante le Pubbliche Amministrazioni non può non esplicitare, far emergere come la dirigenza interviene (nel bene e nel male) in modo rilevante nelle policies. I casi di innovazione di successo sono nati, in genere, dal felice incontro di manager pubblici capaci e di politici illuminati. Tale incontro può dare buoni risultati quando si realizza un equilibrio soddisfacente tra ruolo della politica e ruolo della burocrazia. Oggi la riaffermazione del primato della politica tende a porre in secondo piano il ruolo della burocrazia professionale. Appare difficile pensare che l'innovazione organizzativa e nelle policies si sviluppi avendo come attore principale, se non unico, la politica.
Non è vero che il cambiamento delle norme (la famosa ed ennesima "riforma della PA") produca automaticamente maggiore efficienza senza il ripensamento dell'organizzazione, delle tecnologie, del sistema professionale e dei processi di servizio che devono essere erogati ai cittadini. Tale credenza nasce, tra l'altro, da una diffusa ideologia, che qualcuno chiama "costituzionalismo metodologico", la convinzione cioè che i testi di legge (o le delibere e i regolamenti: in generale le norme formali) rappresentino la descrizione di come si svolgono i processi di politica pubblica (e siccome le leggi – o le delibere – sono votate dai politici, essi svolgerebbero un ruolo chiave nei processi di policy). È difficile, invece, che l'innovazione possa svilupparsi se la mission dei nuovi servizi non viene definita con chiarezza. L'innovazione amministrativa e il cambiamento pianificato - che intende favorirla e realizzarla - sono più utilmente leggibili, piuttosto che come un processo top down - che dalle norme, che forniscono l'impulso iniziale, fa discendere scelte, azioni, comportamenti, modelli di azione - come un processo di apprendimento organizzativo che procede con lentezza e difficoltà, spesso per prove ed errori. Ma – purtroppo - il nostro modello di amministrazione basata sul diritto amministrativo non contempla la sequenza sperimentazione-verifica-consolidamento e generalizzazione.
Occorre invece agire sulle opportunità e le disponibilità che si creano, nella consapevolezza che la compattezza ritualistica dell'amministrazione per fortuna non è più così totale, e che proprio i cambiamenti parziali, gestiti dalla stessa struttura, possono generare un positivo contagio facendo in modo che sia la stessa amministrazione il soggetto del proprio cambiamento.
L'innovazione amministrativa diventa allora un'operazione che assomiglia più alla manutenzione, per quanto straordinaria, di beni già in funzione, piuttosto che alla ristrutturazione completa. Si tratta più di carpenteria che di ingegneria, disegno e calcolo. Occorre un atteggiamento che "si prende cura" dell'istituzione, piuttosto che avere la pretesa di ricostruirla.

Tags: PNRR e riforma delle P.A.

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