Le relazioni organizzative come conflitti d’amore
Ognuno di noi è artista della propria vita, che lo sappia o no, che lo voglia o no, che gli piaccia o no. Essere artista significa dare forma e struttura a ciò che altrimenti sarebbe informe e indefinito. Significa manipolare probabilità. Significa imporre un «ordine» a ciò che altrimenti sarebbe «caos»: «organizzare» un insieme di cose ed eventi che altrimenti sarebbe caotico
(casuale, fortuito e dunque imprevedibile), rendendo così più probabile il verificarsi di certi eventi anziché di altri. A chi dovremo ispirarci per sapere come organizzare (e organizzarci), se non ai professionisti, a chi è responsabile di quelle entità che si chiamano «organizzazioni»?
Ma solo «fino a pochissimo tempo fa», perché oggi, entrando nella sede centrale di un’organizzazione, si sentono soffiare i venti del cambiamento. In un saggio, D. Hjorth e M. Kostera hanno delineato in termini generali e con notevole ricchezza di particolari il percorso dal vecchio paradigma organizzativo, imperniato sul «management» e sulla priorità del controllo e dell’efficienza, al paradigma emergente, che guarda soprattutto allo spirito imprenditoriale e sottolinea «le caratteristiche più vitali dell’esperienza: immediatezza, spirito ludico, soggettività e performatività». La tendenza è quella di ridefinire le organizzazioni secondo uno schema simile a quello delle relazioni d’amore, e ciò ci rinvia a una trasformazione ancora più vasta, che è probabilmente la trasformazione profonda del ruolo svolto nel contesto liquido-moderno dai legami umani.
E’ proprio perché siamo disponibili ad «amicizie e unioni profonde», proprio perché lo desideriamo più forte e disperatamente che mai, che i nostri rapporti sono pieni di rumore e furore, carichi di ansia e in perenne allerta.
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