Politiche aziendali per gli aged worker: vecchi problemi e nuove esigenze
L’avanzare delle “pantere grigie” in azienda è indubbiamente un tema che dovrebbe indurre riflessioni non usuali a chi opera nell’ambito delle politiche HR, non solo per gli aspetti speculativi, ma soprattutto per i riflessi pratico operativi che spesso non sembrano seguire le teorie prevalenti. Innanzi tutto, di staffetta generazionale come strumento di gestione equilibrata della forza lavoro non se ne parla da oggi.
Ricordo ancora come uno dei miei capi affrontò la situazione della gestione dei “vecchi” 50enni chiamati a proseguire la loro attività come consulenti, nonostante fossero usciti dall’azienda con prepensionamento, e nonostante i rischi a cui ci si esponeva per evasione contributiva : “Dottore, come affrontiamo il rischio consulenti?”, “Ingegnere non si preoccupi, ho un piano: il secondo dell’edificio, ci stanno tutti!”.
Anche quando lo scivolo verso una lucrosa pensione di anzianità (calcolata prevalentemente con il regime retributivo) era la regola prevalente nelle aziende per equilibrare il costo del lavoro, non era scontata la sostituzione “un anziano contro un giovane”. Anzi, per onestà, va detto che i principali interventi di “rightsizing” – per non parlare delle ristrutturazioni tout court – erano prevalentemente fondati sul ricorso alla cosiddetta “mobilità” volontaria (in sindacalese “non opposizione alla messa in mobilità”). Un modo per le aziende di riequilibrare i conti, sfruttando le risorse dello Stato, anche perché per mandare via le persone non adeguate altri modi leciti non c’erano.
Dalla fatidica primavera del 2012, il Governo ha spiazzato tutti rendendo praticamente impossibile perpetuare questa modalità di gestione.
E da allora in azienda “largo ai vecchi”, e via al parafrasare l’importanza dell’esperienza, della maturità decisionale, dell’equilibrio manageriale. Per non tacere della corsa al ringiovanimento perenne (“vecchio sarai tu”) che passa dall’estetica, al fitness, ai social, quasi si dovesse nascondere il progressivo e inesorabile invecchiamento fino ai 67 e più, per non sentirsi emarginati.
Non raccontiamoci storie. Il lavoro dei 60enni quando richiede sforzo fisico (sulla linea di produzione, in cantiere, nei magazzini, nei campi) è faticoso e non ha produttività comparabili con quelle di persone più giovani. Ma va remunerato come prima.
Il lavoro immateriale (professionale, creativo, manageriale) appartiene invece a una élite che si può permettere tutte le forme di flessibilità possibile, per cui l’assenza in azienda di politiche di active ageing rappresenta per loro un “non problema”.
Senza contare che la tendenza demografica porta con se anche il peso delle malattie professionali e degli inabili, che sono destinati a crescere e innalzare i costi sociali almeno fino che le aziende potranno permetterseli.
La verità, infatti, è che chi paga il conto sono le persone. Vista la crisi degli ultimi 8 anni, i costi sociali sono passati dallo Stato alle Aziende, le quali appena possono li scaricano sugli individui.
Viva Boeri che si è reso conto del dramma dei 50enni espulsi dal modo del lavoro che non hanno chance di rientro (nemmeno de-qualificandosi, perché comunque si preferiscono giovani con meno tutele), e propone un reddito di sussistenza per arrivare alla agognata pensione.
Quindi, è vero, abbiamo un serio problema. L’economia è stagnante, il tasso di disoccupazione dei giovani è al 40% da 3 anni, e abbiamo sul gobbo un onere demografico ed economico di difficile smaltimento. In genere si dà sempre la colpa alla mancanza di strumenti, e in parte è vero. Solo quest’anno (marzo 2016) si è varato un part-time per i 63enni. Una misura che potrebbe liberare risorse in modo equilibrato per le aziende e i dipendenti, ma purtroppo finanziata con fondi limitati.
Ma forse servirebbe anche più coraggio da parte delle Aziende, nel pianificare meglio i fabbisogni e attuare politiche che valorizzino esperienza e creatività di quei “giovani vecchi” che devono poter affrontare questa fase della loro vita lavorativa con dignità e rispetto. Sperando che non arrivi una nuova crisi.
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