Il buonismo dei capi non fa crescere i collaboratori

I risultati dell’Indagine promossa da AIDP nel 2013 arrivano 10 anni dopo una precedente indagine, e riconfermano come la valutazione delle prestazioni sia il principale strumento sul quale poggia ancora oggi la gestione delle persone nelle aziende. E’ diffusa nell’81% delle aziende, mentre la valutazione delle posizioni e del potenziale sono diffuse in meno della metà delle aziende del panel (49% e 48% delle aziende). Occorre guardare con attenzione alle tre tipologie di modelli di valutazione normalmente utilizzati.

Tipologie di modelli che sono in qualche modo riconducibili anche ad un’evoluzione storica. All’origine dei sistemi di valutazione vi è infatti il modello per comportamenti; successivamente sull’onda dello slogan “non importa il come l’importante è il risultato” viene introdotto il modello per risultati; l’evoluzione di questo è rappresentato dal performance management che considera, oltre al risultato, quelle competenze e comportamenti che qualificano i risultati stessi e li rendono ripetibili nel tempo.
Il modello per comportamenti focalizza la valutazione su comportamenti richiesti globalmente a tutto il personale dell’azienda, con un basso livello di differenziazione in relazione al ruolo ed alla posizione ricoperti. I comportamenti oggetto di osservazione divengono una sorta di prerequisiti caratterizzanti l’identità culturale dell’organizzazione ed il proprio sistema di valori. Si tratta in questo caso di strumenti nati in contesti stabili, regolati da norme stringenti, con ruoli poco discrezionali, dove il risultato è sullo sfondo, come effetto inevitabile dell’applicazione delle procedure e della corretta esecuzione delle istruzioni ricevute. Ne troviamo ancora esempi diffusi in alcune istituzioni, come pubbliche amministrazioni e organizzazioni militari.
Il modello per risultati introduce nelle aziende massicci programmi di gestione per obiettivi; sostenuto dallo slogan “non importa come, l’essenziale è il risultato”, vengono realizzati, nelle aziende italiane, importanti sistemi di valutazione delle prestazioni, basati sul confronto fra risultati attesi e risultati raggiunti, con grande attenzione posta all’oggettivizzazione ed alla quantificazione dei risultati. In molti casi la valutazione della performance diventa sinonimo di sistema di incentivazione. Hanno sicuramente contribuito a sviluppare la cultura del risultato e della responsabilizzazione. Hanno permesso di focalizzare i comportamenti delle persone sulle priorità di ruolo.  La direzione per obiettivi Dis. Obiettivi valutazioneaggiunge, a questi indubbi aspetti positivi, molteplici rischi: lo stimolo a comportamenti eccessivamente individualistici e la focalizzazione su obiettivi “funzionali” e di ruolo, a scapito di quelli complessivi dell’azienda, la potenziale conflittualità fra unità organizzative e persone, traguardate su obiettivi al confine fra diversi ruoli organizzativi, nonché la concentrazione sugli obiettivi di breve periodo.
Il performance management. L’accentuarsi del quadro competitivo ha messo in crisi il tradizionale concetto di risultato, ed ha fatto emergere l’esigenza di dare continuità al risultato attraverso la costruzione di “valore” per l’azienda. L’attenzione della valutazione si sposta sulle modalità con cui si possono ottenere ottimi risultati, e che consente di ripeterli nel tempo. Il performance management è un processo sistematico di miglioramento della performance organizzativa, ottenuto attraverso lo sviluppo della performance degli individui e dei teams di lavoro, all’interno di un frame condiviso di obiettivi pianificati e di prefissati requisiti di competenza. L’obiettivo di fondo del performance management è quello di stabilire una cultura dell’eccellenza della prestazione, nella quale individui e teams si responsabilizzano per il continuo improvement dei processi di business e delle loro proprie skills, all’interno di un set di obiettivi guidati da un’efficace leadership manageriale. Si basa anche sulla identificazione del modello delle competenze, il quale diviene variabile strategica “chiave” per il conseguimento degli obiettivi strategici. E’ importante sia lo strumento che il processo di introduzione ed accompagnamento del performance management. Si tratta di insegnare ai capi ad alzare “…le aspettative dell’organizzazione, ad essere meno buonisti, a rendere i collaboratori intransigenti verso le proprie mediocrità” (U. Capucci, 2012) E’ un processo continuo e flessibile che coinvolge i manager ed i loro collaboratori. E’ basato sul principio del management per “accordo” (engagement), che supera il management per controllo o coercizione.
L’architettura del performance management si basa sui seguenti elementi:
• l’accordo, lungo la linea gerarchica, su finalità e requirements dei job
• la cultura della misurazione che si sostanzia nel confronto
• l’enfasi posta sul feedback, sull’identificazione di opportunità di miglioramento, e rinforzo dei comportamenti positivi.
Il performance management deve esaminare come i risultati sono stati raggiunti perché solo questa comprensione consente di individuare quali sono le strade per ulteriori miglioramenti. Uno dei fondamentali risultati del performance management è anche quello di allineare gli obiettivi individuali con quelli dell’organizzazione. Infatti “..il performance management crea una visione condivisa di finalità ed obiettivi dell’organizzazione, aiutando ogni persona a comprendere e riconoscere il proprio contributo alla loro realizzazione, e nel fare questo, a governare e rafforzare le performance dell’organizzazione e degli individui…” . L’allineamento può essere ottenuto attraverso un processo a cascata nel quale gli obiettivi del team e dell’individuo sono definiti sulla base degli obiettivi del livello superiore, e quindi dell’area organizzativa di appartenenza. In alternativa ogni persona potrebbe definire dal basso con il proprio capo i suoi obiettivi, in un processo bottom-up che ha come riferimento il frame degli obiettivi dell’organizzazione. Il performance management è anche il governo delle aspettative. Crea una comprensione condivisa capo – collaboratore di ciò che è richiesto, ed i piani che le persone possono realizzare per un miglioramento delle performance. Un’alta performance scaturisce da comportamenti discrezionali, conoscenze e capacità appropriati. Il performance management è finalizzato anche a sostenere ciò che le persone fanno per realizzare i core values espressi nelle carte valori delle organizzazioni, convertendo quindi i valori “teorici” in valori in uso, garantendo che la retorica diventi realtà.
Dall’Indagine condotta su di un panel di imprese, si evidenza che la valutazione delle prestazioni è:
• prevalentemente finalizzata allo sviluppo della performance individuale (28%), con una significativa correlazione con il sistema premiante nelle sue diverse accezioni, finalizzato al riconoscimento dei meriti individuali
• legata alla individuazione ed al sostegno dei comportamenti coerenti con le strategie aziendali (19%)
• collegata al miglioramento dei risultati aziendali rispetto al budget (18%)
• correlata alla gestione dei talenti (12%)
• meno legata alla sostenibilità nel tempo dei risultati
La valutazione della prestazione risulta normalmente generalizzata al totale della popolazione (62% del panel) e che, nei casi nei quali è limitata ad una parte della popolazione, risulta più frequente per le fasce medie del middle management e dei professional, che non per quelle alte della dirigenza. Quest’ultima tendenza di maggior diffusione nelle fasce medie peraltro diverge dai trend dell’Indagine 2003, nella quale la valutazione della prestazione era diffusa prevalentemente nei segmenti più alti della popolazione.
I fattori considerati nella valutazione delle prestazioni sono sia quantitativi che qualitativi. Nei primi vi è una forte prevalenza di obiettivi specifici di ruolo (88%), mentre, in misura più ridotta (27% delle aziende del panel), si hanno obiettivi più larghi, legati ad aspetti di integrazione con altri ruoli, oppure correlati alla linea gerarchica. L’utilizzo dello sviluppo di competenze comportamentali e delle competenze professionali è molto frequente fra i fattori di valutazione. Hanno un’alta frequenza gli obiettivi di miglioramento delle competenze.
Le multinazionali (86%) presidiano in maniera molto più accentuata delle nazionali (59%) il processo di accompagnamento del sistema di valutazione. C’è un’attenzione molto forte sul processo di accompagnamento della valutazione, sulla formazione ai valutatori, sulla responsabilizzazione del capo nella valutazione, sulla verifica intermedia dei risultati, sulla ritaratura degli obiettivi, sull’autovalutazione per supportare il confronto capo-collaboratore, sulla fissazione dei target e sull’omogeneizzazione dei risultati. Nella quasi totalità delle aziende (92%), a valle del processo di valutazione viene realizzato un piano di miglioramento individuale, con una leggera prevalenza delle multinazionali (95%) verso le nazionali (88%);
Nel 38% delle aziende (47% nazionali e 32% multinazionali) i sistemi di valutazione convergono nel determinare interventi economici e/o gestionali. Nel 28% (18% nazionali e 36% multinazionali) la valutazione prevede un’unica scheda. Nel solo 33% dei casi non esiste alcuna integrazione fra i diversi strumenti.
L’autovalutazione iniziale delle prestazioni è presente nel 41% delle aziende del campione, con una frequenza nelle multinazionali (45%) maggiore che nelle nazionali (35%). E’ un percorso questo di notevole efficacia perché il collaboratore è chiamato a prepararsi in maniera analitica al colloquio di attribuzione degli obiettivi, ed a porsi per un momento nei panni del capo. Contestualmente il capo ha un quadro più ricco a disposizione, per effettuare la valutazione del proprio collaboratore. Stanno però cambiando molte condizioni al contorno della valutazione. Mentre nelle organizzazioni degli anni passati era il capo ad accentrare in sé tutti gli aspetti della valutazione, oggi le modifiche organizzative verso strutture lean, il lavorare per processi e per task progettuali, fanno sì che una persona sia vista e valutata, nel proprio operare all’interno dell’organizzazione, da molteplici referenti. Se è vero quindi che resta nella valutazione la responsabilità primaria del capo, è anche vero che aumenta la valutazione a 360° che richiede che, a valutare il collaboratore sia un gruppo di persone: i capi, i colleghi, i clienti interni ed i collaboratori. E’ questo uno strumento potente e delicato, che richiede un investimento significativo, in termini di mobilitazione delle persone ed anche di tempi e di risorse coinvolte.
I dati evidenziano anche un aumento del ricorso alla distribuzione forzata delle valutazioni. Circa un terzo (29%) delle aziende del panel ricorrono alla distribuzione forzata delle valutazioni, con una maggior frequenza delle multinazionali (45%), rispetto alle nazionali (12%). Tale ricorso è generato da molteplici cause. Spesso vi può essere una tendenza delle valutazioni a non far emergere le differenze fra i valutati ed a crescere nel tempo, con slittamenti verso i livelli alti del grading. Anche nelle prime fasi di installazione dell’impianto si può osservare spesso una struttura delle valutazioni che tende a convergere verso i valori più alti. La valutazione di sintesi avviene, quasi sempre, su una scala di 5 o, meno frequentemente, di 4 livelli. Recentemente alcune aziende stanno tentando approcci di semplificazione delle valutazioni, arrivando ad una classificazione su 3 livelli: prestazione non adeguata, in linea con le attese, superiore alle attese. Si tratta però di poche realtà avanzate, nelle quali i sistemi di valutazione e la cultura della valutazione sono da tempo diffusi e condivisi tanto da essere “sotto traccia”.
Su una scala di 5 livelli normalmente una distribuzione in teoria credibile è di questo tipo: 5% inadeguati, 15% parzialmente adeguati, 45% adeguati, 25% più che adeguati, 10% eccellenti. Di fatto la distribuzione più frequente è invece: 2% inadeguati, 5-10% parzialmente adeguati, 35% adeguati, 45% più che adeguati, 5-10% eccellenti.
La soluzione strategica è quella di formare al rigore i valutatori. Quella “tattica” ha diverse opzioni: ammettere valutazioni intermedie, oppure passare alla distribuzione forzata delle valutazioni, imponendo la distribuzione normale. E’ evidente che la gaussiana funziona per chi ha molti collaboratori, mentre diventa scarsamente utilizzabile se i numeri sono più ridotti. Un’alternativa ulteriore per l’abbattimento di derive inflazionistiche delle valutazioni è quella molto diffusa nei paesi anglosassoni, con la GE di Jack Welch come primo applicatore di questo modello, consistente nel definire un ranking dei valutati per quartili, in cui i valutati sono divisi, dal primo all’ultimo, in più fasce (il migliore 20-25% e così via fino all’ultima fascia).
Il ricorso alla distribuzione forzata delle valutazioni è in aumento rispetto ai risultati della ricerca 2003, e può essere letta come necessità di intervenire con opportuni correttivi a fronte di valutazioni non plausibili e sbilanciate, tendenzialmente eccessivamente positive. Questo tradirebbe una cultura valutativa e, più in generale, del feedback, ad oggi ancora incompiuta. Il feedback sistematico sulla prestazione rappresenta un tassello fondamentale del processo di valutazione della prestazione, vero e proprio corrimano della gestione manageriale e generativa di commitment da parte dei capi. Un investimento in formazione così significativo (con un delta molto ampio tra multinazionali e aziende nazionali) rappresenta la conferma di un forte bisogno di allineamento culturale. Il capo diventa e gli si chiede di diventare più demanding e meno buonista, generando partnership col collaboratore nel perseguimento dell’eccellenza.
Il combinato disposto di due elementi, quali l’enfasi sui piani di sviluppo contrapposto a un più debole aggancio con le strategie aziendali, offre uno spunto di riflessione sulle finalità. Il presidio principale sembra essere il miglioramento della performance organizzativa, attraverso il miglioramento di quella individuale (con una probabile e possibile inversione mezzo/fine di quest’ultima). In altri termini, uno sviluppo non collegato alle esigenze suggerite da business e strategia potrebbe rimanere fine a se stesso.
Sebbene apparentemente sia uno strumento tecnicamente meno complesso di altri (selezione, formazione, sistemi di incentivazione) la valutazione della prestazione rappresenta molto spesso un punto critico nelle aziende, in quanto frequentemente tende a scadere nella routine e nella ripetitività. E’ in questo terreno che la Direzione del Personale può giocare un ruolo di cambiamento, modificando nel tempo le priorità strategiche della valutazione ed aiutando il vertice a domandarsi che cosa vuole dalla propria organizzazione prima di ogni altra cosa nel futuro.

U.Cerqui e C. des Dorides “Competenze e valutazione delle prestazioni”, in “Business, strategia e competenze ” a cura di U. Capucci, Guerini Editore, 1999.
C. des Dorides, P. Iacci, I sistemi di valutazione del personale, Guerini Editore, 2013
Brumbach ” Some ideas, issues and predictions about performance management, Public Personnel Management, 1998
Fletcher, “Appraisal: Routes to improved performance”, Institute of Personnel Management, London, 1993.
G.B Rosa, G. Tamagni “La valutazione delle prestazioni” in “Gestire, retribuire, incentivare la performance” a cura di G.Aiuto, F.Angeli, 2004

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