Integratori energizzanti per le aziende

Perché in azienda si sono moltiplicati i ruoli destinati a svolgere attività di integrazione trasversale? Come deve essere un Integrator? A quali requisiti dovrebbe rispondere questa tipologia di ruoli in azienda? Perché è così difficile specificarne il profilo in una scheda di ruolo? Dovremmo forse affermare che il succeso di un buon Integrator è affidato alla capacità interpretativa del soggetto? Oppure non è altro che una “povera vittima”, immolata al sacrificio, con ben pochi poteri per poter affermare con efficacia una missione impossibile?

Cominciamo con il condividere che si tratta di ruoli che si sono notevolmente moltiplicati nel corso degli anni. Rappresentano una delle possibili risposte all’esigenza delle nostre organizzazioni di compensare l’incremento di specializzazione che nel contempo si è raggiunta nell’ambito delle strutture funzionali. Se è vero che le nuove tecnologie informatiche hanno ampliato le capacità operative delle persone e delle organizzazioni, hanno strutturato i flussi di processo e integrato i diversi apporti, paradossalmente però si sono rivelate capaci di impoverire le opportunità di connessione reale tra le persone.

In contrasto con questo apparente effetto disgregativo e isolante delle nuove tecnologie, le nostre organizzazioni necessitano di gradi sempre maggiori e flessibili di integrazione tra le loro diverse componenti e a differenti livelli:

  • produttivo (concezione, ingegnerizzazione, produzione, commercializzazione), funzionale (strategie, politiche, operation), geografico (centro, territori)
  • ma anche: individuale (conoscenze ed esperienze degli attori organizzativi), sociale (i gruppi professionali e le comunità di pratiche), culturale (integrare le diversità).

Le nostre aziende soffrono enormemente del rapporto sbilanciato tra lo specialismo di strutture, ruoli e persone, e il bisogno di coordinarle in modo integrato per rendere efficace il loro apporto rispetto alle esigenze poste dai processi di business. Sono esigenze di integrazione sempre più complesse perché i contesti nei quali operano le aziende sono sempre più volubili e discontinui. Per sopravvivere alla volubilità e discontinuità dei contesti esterni (non solo di mercato, ma sociale, economico, tecnologico, istituzionale, internazionale), qualsiasi organizzazione – privata o pubblica – ha solo un modo: sviluppare nel management una capacità diffusa di cogliere i “segnali deboli”, innalzare la propensione verso l’adattamento continuo di strategie e obiettivi, rendersi flessibile sul piano organizzativo e operativo, e rispondere tempestivamente, semplificando i processi decisionali.Gli usuali meccanismi di coordinamento gerarchico non sono più sufficienti per assicurare a qualsiasi azienda le qualità sopra espresse. Perché il coordinamento gerarchico svolgendosi spesso lontano dall’operatività dei processi di business non riesce ad essere adattivo, flessibile e tempestivo.

Fig relazioni lateraliPer tutti questi motivi, si sono moltiplicati in azienda i meccanismi di coordinamento, moltissimi dei quali non si sviluppano più lungo le linee gerarchiche, bensì per vie laterali, orizzontali. Spesso sono meccanismi informali, o comunque non dotati di “potere impositivo”.
I ruoli di integrazione rappresentano una delle modalità ampiamente diffuse in azienda per sviluppare coordinamento trasversale su comunità professionali, team, processi di lavoro, progetti, commesse, prodotti, in riferimento a strategie, piani, task, sviluppo di brand e mercati, ricerca, sviluppo e industrializzazione, politiche del personale, change, digital transformation.

Parliamo di una molteplicità di “job profile”. Per esempio, in ambito IT: demand manager, program manager, project manager, business analyst. In ambito marketing: product manager, brand manager, account manager, regulatory manager. In ambito HR: HR business partner, change manager. In ambito operation: process manager, team manager, networker.
Ma ad essi potremmo associare anche molti altri ruoli manageriali che hanno responsabilità di ownership su processi interfunzionali. Quali ad esempio quelli dedicati alla pianificazione, al budget e controllo, alla valutazione e sviluppo delle risorse umane. Tali ruoli, seppur non definibili di Integrator, comunque tendono a qualificarsi per le elevate capacità di gestione di relazioni integrative.

Dalmar Fisher è stato uno dei primi ad esaminare i problemi che incontrano coloro che son impegnati in ruoli destinati a facilitare l’integrazione in una grande organizzazione. In un suo studio sui Product manager, osservava come essi, non avendo da giocare alcun potere impositivo nelle relazioni, dovevano combattere contro i perversi meccanismi di inibizione messi in atto dai responsabili di linea che si sentivano minacciati dalla loro presenza, ritardando o precludendo la loro azione.

La Direzione spesso non lesina la formale nomina e assegnazione di responsabilità a colui che è destinato a ricoprire un ruolo di integrazione. Tuttavia, raramente delega poteri e autorità. Spesso non lo fa per mantenere una parte attiva in ogni decisione, come se considerasse l’Integrator come una risorsa di staff a sua disposizione. Al momento di specificare il profilo di ruolo, ci si ferma di fronte all’evidenza che le aspettative sono sempre molto elevate e molto articolate: competenze, ambiti di azione, sistema relazionale, sono fortemente condizionati dal contesto nel quale andrà ad operare. Il suo contributo dipenderà da obiettivi e bisogni emergenti e da situazioni operative contingenti. Ciò appare coerente con uno dei fattori determinanti il ruolo agito dall’Integrator, così come emerge nei commenti e nelle indagini sul campo, ovvero la capacità di esercitare una leadership situazionale e l’attitudine alle relazioni interpersonali.

Le osservazioni empiriche che da anni svolgiamo nell’ambito delle Direzioni IT di grandi organizzazioni appartenenti a settori anche molto diversi, ci hanno consentito di individuare alcune caratteristiche personali associabili all’efficacia dei ruoli di integrazione, come ad esempio il Demand manager e il Project manager, il cui sviluppo è cruciale per assicurare una buona governance dei processi di digital transformation.
Nel profilo di riferimento sicuramente c’è la competenza tecnica, anche se emerge sempre fortemente correlata alle competenze relazionali. Come dire che la prima non ha valore se non è resa utile, facendone percepire il valore di scambio, ovvero l’opportunità di fruire delle esperienze “contestuali” di cui l’Integrator dovrebbe essere portatore.

Appare evidente che il potere espresso dall’Integrator è anche correlato al livello organizzativo da cui dipende. Ma la legittimazione formale del ruolo di Integrator da parte della Direzione è una condizione implicita ma non sufficiente. Emerge, invece, come cruciale la capacità di visione integrata dei problemi, la capacità di assecondare un punto vista equilibrato e interfunzionale, la disponibilità ad affrontare situazione di conflitto al fine di comprendere gli interessi in gioco e contribuire a convergere su obiettivi comuni, la capacità di iniziativa, una moderata ambizione nell’affermare il proprio punto di vista, e automotivarsi nel sentirsi riconosciuto come autorevole.

Queste evidenze confermano quanto già emerse nello studio di D. Fisher. La ricerca empirica fu condotta su un gruppo di 23 Product manager. Essa prese le mosse da una rilevazione, tramite questionari e interviste, della percezione di ruolo espressa nei confronti dei Product M. dai loro principali interlocutori.
L’indagine prese di fatto le forme di una rilevazione sociometrica utile per analizzare la posizione di un individuo all'interno di un gruppo. La tecnica, quindi, non si occupa direttamente dei comportamenti manifesti, ma intende scoprire le relazioni interpersonali tra i componenti di un gruppo. Questo metodo mette in luce i comportamenti dell’individuo che nel gruppo vengono ritenuti attrattivi o repulsivi. A ciascun componente il gruppo, attraverso una scala di rating point, si chiede di esprimere la propria opinione in termini di rifiuto, di scelta o di indifferenza nei confronti degli altri componenti.

Gli interlocutori dei Product M. furono ricondotti e quattro gruppi:

  • consulenti e professional esterni: agenzie pubblicitarie, ricerche di mercato, ricerche di prodotto, consulenza marketing e legale
  • colleghi delle funzioni istituzionali interne: vendite, produzione, acquisti, amministrazione, personale, etc.
  • vertici e riferimenti gerarchici
  • collaboratori diretti

Dall’indagine in questione emerse come ciascun dei suddetti gruppi esprimesse aspettative diverse nei confronti del Product manager in funzione dei propri orientamenti e interessi.

Il gruppo dei Consulenti e Professional esterni, era composto da soggetti proattivi e veloci, che privilegiavano nuove idee e nuove soluzioni, erano abituati ad esprimere la loro opinione apertamente e vigorosamente, e privilegiavano un rapporto basato su uno scambio aperto e uno schietto feedback. Per loro i Product manager con i quali avevano i migliori rapporti di lavoro venivano qualificati con aggettivi tipo: ottimista, avventuroso, individualista, audace, opportunista, anticonformista.

Il gruppo dei Colleghi delle funzioni istituzionali interne, invece, privilegiavano comportamenti convenzionali, affrontavano le situazioni con atteggiamento moderato, conservativo e meno imprenditoriale, e privilegiavano un rapporto basato su stabilità, forma e riservatezza. Per loro i Product manager con i quali avevano i migliori rapporti di lavoro venivano qualificati con aggettivi tipo: ponderato, metodico, regolare, convenzionale, cauto, moderato.

Il gruppo dei riferimenti gerarchici, invece, esprimevano ancora un’altra rappresentazione socio-emotiva. La loro preferenza era per i Product manager con uno stile dominante, piuttosto aggressivo e positivo.
Il gruppo dei collaboratori diretti, invece, espressero l’aspettativa di avere dal Product M. una guida strutturata. Ma nel contempo si aspettavano anche che sapesse mitigare rigore e metodo con rilassatezza e informalità. Per loro i Product manager con i quali avevano i migliori rapporti di lavoro venivano qualificati con aggettivi tipo: aperto, genuino, impulsivo, loquace, tranquillo.

Comportamenti differenziati. Le esperienze di oggi come quelle già emerse negli studi di Fisher, confermano che l’Integrator, se vuole affermare il proprio ruolo, deve sapere mettere in atto uno stile differenziato e situazionale in funzione del tipo di interlocutore e del settore organizzativo con il quale intende lavorare in un dato momento.

Ciò suggerirebbe quindi di evitare, per esempio, dispersive riunioni interfunzionali, ma attivare conversazioni mirate in funzione del sistema degli interessi in gioco con ogni tipologia di interlocutore e/o settore aziendale.
Questi sono approcci ampiamente richiamati nei modelli di “comunicazione integrativa”, e sviluppati in alcune tecniche del Client management, come per esempio la cosiddetta “Analisi del campo di forza”.

Si desume che il requisito generale di un Integrator è quello di sapere come lavorare produttivamente con i colleghi di diversi ambiti dell’organizzazione. La missione del ruolo loro assegnato dalla linea gerarchica richiede siano buoni esecutori, dogmatici al punto giusto per poter immedesimarsi negli obiettivi del task loro affidato. Dovranno essere sufficientemente assertivi per dar soluzione ai problemi che si frappongono continuamente sul percorso per conseguire gli obiettivi prefissati. Ma devono essere anche consapevoli di dover soddisfare aspettative molto differenti, talvolta anche confliggenti. Per tal motivo sono fondamentali le capacità di mediazione. L’essere strutturati metodologicamente diviene un’arma importante, così come l’indipendenza di giudizio intesa come capacità di giungere a proprie conclusioni di fronte alla pressione degli interessi posti dai diversi interlocutori.

Assertività e dogmatismo sono le chiavi riconoscibili che nella ricerca condotta da Fisher contraddistinguono quei Product manager che dimostrano di avere stima in sè stessi, automotivazione e capacità di interpretare il proprio ruolo anche in assenza di una formale assegnazione di autorità e poteri.

 

Riferimenti
- D. Fisher, "Entrepreneurship and Moderation: The Role of the Integrator", in J. W. Lorsch and P. R. Lawrence, Studies in Organization Design, Homewood, 1970

Tags: digital working, cooperative working, team, valutazione e sviluppo HR, servizi, processi e digital transformation, Eugenio Nunziata

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