La relazione tra età e prestazione. Fuori dai luoghi comuni

La relazione fra andamento della prestazione e la crescita dell’età-anzianità del personale è da sempre controversa. La convinzione diffusa è che all’aumentare dell’età anagrafica, il livello della performance diminuisca, in quanto gli aged worker risultano avere difficoltà a gestire e adattarsi al cambiamento, hanno performance decrescenti e inferiori al necessario, sono incapaci di assimilare e allinearsi alle nuove tecnologie, hanno costi maggiori e comunque più alti rispetto ai giovani.

Eppure l’osservazione empirica porta alcuni studiosi ad affermare che la performance migliora con l’aumento dell’età quando “...la seniority ... è indice di commitment, responsabilità, fedeltà, nonché portatrice di valori in rapporto al senso attribuito al lavoro come esperienza individuale e collettiva” (F.Marcaletti, 2007).
Gli aged worker possono essere definiti come le persone che hanno un’anzianità lavorativa (seniority) e contributiva elevata; hanno superato i due terzi della loro carriera e sono vicini alla fine del loro periodo lavorativo. Convenzionalmente possiamo includere in questo gruppo le persone che hanno almeno 55 anni, anche in coerenza con le classi di età definite da ISTAT nelle sue rilevazioni sull'occupazione. Gli occupati in Italia al di sopra dei 55 anni sono pari a 4,2 milioni nel 2015. Nel 2004 essi erano invece pari a 2,8 milioni; si è avuto in 11 anni un incremento di 1,4 milioni di occupati, con una crescita molto forte del dell'incidenza degli over 55 sul  totale degli occupati, che passa dal 12,51% del 2004 al 18,6% del 2015.

Ma qual’è la conseguenza di questo invecchiamento della forza lavoro sulla prestazione complessiva delle organizzazioni? Proveremo a fornire alcune chiavi di lettura che, se integrate con le peculiarità dell’azienda, del modello di business e dei processi produttivi, potrebbero consentire di valutare se l’aumento della popolazione degli aged worker, in una specifica realtà, è un fattore frenante della performance organizzativa o se, al contrario, contribuisce ad accrescerla.

Un interessante contributo alla riflessione ci è offerto dal modello di Warr. Esso ci suggerisce di procedere a una segmentazione dell’aged workforce in funzione della correlazione fra attività svolte e performance attesa.
Mettendo in relazione le due dimensioni emerge uno schema interpretativo che avvalorerebbe l’idea che gli over 55 sono una popolazione molto disomogenea, per la quale è necessario dotarsi di un metodo che consenta di individuarne diversi segmenti, superando lo stereotipo semplicistico secondo il quale sia solo una questione anagrafica. fig quadranti WarrP. Warr (1994) identifica due dimensioni rilevanti che si relazionano con l’aumento dell’età:
• le capacità di base richieste nello svolgimento di una data attività
• la rilevanza dell’esperienza lavorativa nello svolgimento di una data attività

Graduando ciascuna delle due dimensioni e correlandole tramite una tabella a doppia entrata, è possibile identificare dei sottoinsiemi  come semplificato nel grafico per quadranti riportato. 

Nella parte bassa della tabella l’incidenza dell’esperienza sui risultati dell’attività è considerata irrilevante. Quindi, nel quadrante 1, dove le capacità di base diminuiscono al crescere dell’età, si ha una relazione negativa fra età e performance. Nel quadrante 3, invece, le capacità di base non diminuiscono al crescere dell’età, e quindi l’effetto in contrasto delle due variabili (esperienza e capacità di base) fa sì che la relazione attesa fra età e performance sia tendenzialmente nulla.

Nella parte alta della tabella l’incidenza dell’esperienza sui risultati dell’attività è considerata significativa. Quindi, nel quadrante 2, dove le capacità di base diminuiscono con l’età è verosimile che l’invecchiamento abbia un effetto tendenzialmente nullo sulla prestazione, come effetto di composizione derivante dalla diminuzione generata dalla riduzione delle capacità lavorative e dalla rilevanza dell’esperienza. Nel quadrante 4, invece, si ha una relazione positiva fra crescita dell’età e livello della prestazione, in quanto le capacità di base non diminuiscono al crescere della seniority e al contempo l’esperienza ha un impatto significativamente positivo sulla performance.

Sulla base del Modello di Warr abbiamo affinato la riflessione, e articolato una descrizione tipologica delle attività lavorative in funzione del contenuto del lavoro e delle competenze cognitive implicate. La Tabella seguente potrebbe essere di utile riferimento per chi volesse tentare una segmentazione dell’aged workforce all’interno della propria azienda, e predisporsi per una diagnosi più approfondita di tale fenomeno.

fig tabella Warr

Le evidenze derivanti da una osservazione più approfondita in azienda riguardo la diversa natura delle posizioni lavorative ricoperte dal personale senior, potrebbero far emergere una realtà molto più articolata rispetto ad una semplice indagine demografica. Oltre che dal quadrante 4, entro il quale riconosciamo segmenti di personale che nonostante l’età possiede ancora un discreto potenziale, anche dalla analisi del personale appartenente ai quadranti 2 e 3 possono evidenziarsi risorse che potrebbero continuare a fornire un significativo contributo lavorativo se opportunamente accompagnate e orientate con adeguate politiche HR.
Ciò porta a considerare che, accanto alle determinanti della performance in funzione dell’età individuate dal Modello di Warr, una “...forte influenza sulle prestazioni lavorative è esercitata dal contesto organizzativo e dalle politiche aziendali che, con le diverse opzioni che esse mettono a disposizione, costituiscono l’ambito entro il quale la fisionomia del lavoratore anziano spesso matura e prende forma” (F. Marcaletti, 2007).
In altri termini, sembra sostenibile che due aziende con analoghe composizioni del personale per le aree di attività previste dal Modello di Warr, possano avere risultati di correlazione tra performance ed età molto diversi in funzione sia del settore di riferimento che, soprattutto, del ricorso o meno da parte dell’azienda ad adeguate politiche organizzative e di active ageing.

La considerazione che emerge da questa riflessione ci porta a suggerire al lettore l'opportunità di una diagnosi della situazione specifica della propria Azienda, per valutare la consistenza strutturale e dinamica dell'incidenza degli over 55 sulla forza lavoro della propria Azienda, e il livello di attenzione e di investimento che essa ha portato avanti in termini di politiche di active ageing.  Un semplice strumento di autodiagnosi è disponibile  http://agedworkforce.braincooperation.it

Una ulteriore chiave di lettura per clusterizzare gli aged worker è quella che mette in relazione il livello delle competenze individuali con la “occupabilità”. Rappresenta questa una dimensione di analisi molto più “fine”, più qualitativa, in quanto richiede un approfondimento su alcune posizioni lavorative, o addirittura sul profilo di ciascun individuo.

Con il termine occupabilità intendiamo definire alcuni aspetti relativi alle caratteristiche personali dei lavoratori, ed in particolare:
• il capitale psicologico, in termini di autoefficacia, determinazione, resilienza, valori individuali, e la motivazione a permanere in azienda per continuare a contribuire con il proprio lavoro al suo sviluppo
• l’attitudine al team working ed all’integrazione, anche in gruppi intergenerazionali
• la disponibilità al trasferimento del proprio know how a colleghi meno esperti.

L’occupabilità delle persone può essere esaminata sulla base di specifici screening o con assessment, che consentano di valutare alcune caratteristiche individuali.

La valutazione delle competenze, invece, intende misurare l’allineamento (ovvero l'eventuale gap) tra le competenze espresse dagli over 55, rispetto alle competenze distintive che sono state poste alla base della strategia aziendale e dei profili di ruolo sui quali si intende orientare lo sviluppo dell’organizzazione.

fig quadranti occupabilità

Graduando ciascuna delle due dimensioni e correlandole tramite una tabella a doppia entrata, è possibile identificare dei sottoinsiemi, come semplificato nel grafico per quadranti riportato. Un livello “fine” di segmentazione della popolazione degli Aged worker che, ancor meglio di quello suggerito da Warr, consente di calibrare e differenziare le politiche HR.
Dopo aver individuate nel quadrante 4 le risorse senior che dispongono di competenze strategiche sulle quali continuare a puntare per la preservazione del knowhow aziendale, la crescita valoriale e dell’identità culturale dell’organizzazione, nei quadranti 2 e 3 troviamo altre popolazioni che meriterebbero interventi e politiche personalizzate. Nel quadrante 2, le risorse motivate ma disallineate rispetto alle competenze strategiche aziendali, che potrebbero essere sostenute con percorsi di job rotation e riqualificazione. Nel quadrante 3, risorse che dispongono di competenze strategiche ma con scarsa occupabilità, da sostenere con interventi tesi a sviluppare la capacità di resilienza e le competenze cross age skill. Per il personale ricadente nel quadrante 1, in assenza di un welfare pubblico sufficientemente flessibile, come lo è oggi in Italia, possiamo immaginare lo sviluppo di un welfare aziendale attraverso il quale concordare una riduzione graduale dell'impegno lavorativo, e un accompagnamento economicamente sostenibile verso la previdenza pubblica.

Riferimenti

- S.Alberton, V.Blasquez, A.Martone, Age management. Creare valore con i lavoratori maturi, IPSOA, 2013
- Assolombarda, Age management. Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Fondazione Istud, 2014
- T.Botteri, S-Age management. Gestire con saggezza generazioni diverse,  Egea, 2012
- M.Colasanto, F.Marcaletti, Lavoro e invecchiamento attivo. Una ricerca sulle politiche a favore degli over 45, Sociologia del lavoro e delle organizzazioni, Franco Angeli, 2007
- P.Iacci (a cura di), I paradossi di Matusalemme.Troppo vecchi a quarant’anni? Come sopravvivere al giro di boa nel mondo del lavoro,  Il Sole 24 ore
- A. Lazazzara, M.C. Bombelli, Hrm practices for an ageing Italian workforce: the role of training, Journal of European Industrial Training, Vol.35, No 8,2011
- F.Marcaletti, L’orizzonte del lavoro: il prolungamento dell’esperienza professionale nell’ ageing society, Sociologia e Ricerche, Vita e Pensiero, 2007
- F.Marcaletti, La dinamica intergenerazionale nei mercati del lavoro: tra conflitto, mutua esclusione e misure per l’inclusività, Studi di Sociologia, 2013
- F.Marcaletti, Leggere la dinamica intergenerazionale nei mercati del lavoro, Direzione del Personale, 2014
- F.Marcaletti, E.Garavaglia, Le età al lavoro. La gestione dell’age diversity analizzando i processi di invecchiamento nelle organizzazioni, Sociologia del lavoro, 2014
- E. Oggioni, I ragazzi di sessant’anni,  Mondadori, 2012
- A.Pozzi (a cura di), Un modello di autovalutazione delle politiche di active ageing, Franco Angeli, 2007
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- C.Toppan, Age management. Idee, pratiche, prospettive per valorizzare il ruolo degli over 50 nelle organizzazioni, SCS Consulting
- T.Treu (a cura di), L’importanza di essere vecchi. Politiche attive per la terza età, Il Mulino, Ariel, 2012
- P. Warr, Age and job performance, in J.Snel, P.Cremer, Work and aging. A European prospective, Taylor & Francis, 1994
- L.Zanfrini, Sociologia delle differenze e delle diseguaglianze, Zanichelli, 2011

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