L’etica conviene?

Adesso ci si è messa anche la Germania, e questo proprio non te lo aspettavi. La "truffa" Volkswagen per dimensione e pluralità di soggetti coinvolti suscita stupore e sgomento; "...tu quoque...", e noi che avevamo ancora in mente il rigore con cui era stato fatto fuori un giovane e brillante politico perché molti anni prima aveva copiato un pezzo della tesi di laurea.

Intanto in Italia tangentopoli non è mai finita: gli "scandali" sono all'ordine del giorno. Roma al momento è in testa, ma anche altri non sono da meno. Si è aggiunta poi la storia connessa al suo sindaco, per il quale c'è non solo una accusa di uso privato di denaro pubblico – in fondo tre cene non sono gran cosa – ma ben altri comportamenti che a molti non sono apparsi  in linea con il doveroso servizio alla città e ai cittadini. Infine Valentino Rossi. Un mito, un esempio raro di sportività a tutto campo, unico nella storia: ragione o no, ha passato il confine dell'etica sportiva.  Allora proviamo a fare qualche riflessione e qualche ragionamento su questa benedetta "etica"
Primo punto: l'etica ha valore economico? Conviene?Fig Indice corruzione
Da anni l'Italia figura intorno al 60° posto nella graduatoria internazionale che valuta sistematicamente l'indice di "corruzione" percepito di ogni Paese (Corruption Perception Index -CPI - pubblicato da Transparency International). Siamo stabilmente dietro a molti Paesi del terzo mondo. Gli appalti pubblici giocano la loro parte, ma anche il lavoro nero, la evasione fiscale, la criminalità organizzata. Per ragionare possiamo aggiungere i tanti lavori pubblici mai finiti, gli abusi edilizi, la violazione delle norme a tutela del territorio, la nomina a posti di grande responsabilità di persone rivelatesi incompetenti, le varie vicende dei lavoratori che vanno a fare la spesa, i falsi invalidi, ....
Tutte queste palesi e diffuse gravi violazione dell'etica incidono sul PIL?
Economisti e finanzieri ci parlano dei consumi interni, delle decisioni di Draghi, del prezzo del petrolio, della Grecia e della svalutazione della Cina, tutte variabili esogene e/o endogene, ma sempre ci parlano di soldi. L'etica non compare mai nei dotti articoli del Sole24ore. Eppure quando crolla un ponte in Sicilia, perché costruito con poco cemento, i danni all'economia sono ingenti ed evidenti. Sono anche calcolabili.
Con tutte queste considerazioni, note, evidenti, conclamate da tutti i media nazionali e anche internazionali, la dimensione "economica" dell'etica appare chiara e sicura. Una recente ricerca pubblicata, ai cinquanta "numeri uno" di grandi imprese pubbliche e private, nazionali e non, poneva esplicitamente questa domanda "si, ma l'etica conviene?". La totalità delle risposte diceva che oggi, nella scenario che conosciamo, senza etica non si fa business, e che l'etica è addirittura un pre-requisito della competitività, che l'etica oggi è indispensabile nei confronti di tutti gli "stakeholders". Tutti affermavano con convinzione che, senza rispettare l'etica, puoi fare buoni affari, ma distruggi la generazione di valore e la "sostenibilità" degli interventi.
Allora ci chiediamo. Perché nessuna si dà la briga di iniziare a lavorare per valutare questo peso economico dell'etica, il suo impatto sul PIL, sul patrimonio materiale e immateriale, sulla nostra vita sociale?
Secondo punto. Ma l'etica cosa è?
A fronte di questa seconda domanda le risposte si aprono, si confondono, non coincidono. Certamente l'etica non è la morale, non riguarda le coscienze: questo è abbastanza chiaro. In termini generali,grosso modo, l'etica viene associata alla onestà, al rispetto delle leggi, delle regole, degli accordi, degli impegni. Insomma, possiamo dire che la interpretazione e la definizione corrente è "non fare niente di male..." e questa sembra essere un affermazione "riduttiva".
Intanto la violazione della legge, la corruzione, la truffa, sono già tutelate dal codice penale e dalla sanzione del carcere; non c'è bisogno di scomodare l'etica per occuparci di tangentopoli e dintorni. L'etica - nelle organizzazioni - deve essere qualcosa di più e di diverso.
Per esempio in Unilever, quando da neo-laureato iniziai a lavorare, ho trovato un principio sacrosanto: in una riunione chi non parla non si guadagna lo stipendio; sei tenuto a esprimere la tua opinione, a confrontarti, in modo civile, perché sei pagato per dare il tuo contributo. Ciò era considerato un principio etico. Poi, presa una decisione e finita la riunione, chi continua a dissentire non si guadagna lo stipendio, perché sei tenuto ad accettare, come tue le decisioni prese. Confrontarsi prima ed allinearsi dopo, è una regola etica fondamentale per ogni organizzazione, per essere davvero una "squadra". Partiti e governi dovrebbero prendere esempio da queste semplici regole. Non è etico ogni possibile comportamento che pregiudica lo scopo comune. Anche silenzi, omissioni, omertà, collusioni, inerzie, conflitti personali sono poco etici.
Perché la vera etica non è solo il "...non fare niente di male.", ma è l'impegno doveroso a fare "...qualcosa di bene". Se vivi e operi, se hai una responsabilità all'interno di una organizzazione, sei tenuto a farti carico del "bene comune".
Se accettiamo questa interpretazione, allora l'etica non riguarda solo politici, manager, insomma gli altri, ma possiamo riflettere anche sul nostro comportamento pubblico e privato.

Riferimenti

- Marina Capizzi, Ulderico Capucci , Il salto di qualità dei numeri uno. Leadership degli scopi, valore e modelli di management in un'indagine sul ruolo dei capi d'azienda italiani all'epoca della crisi, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2013.

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