L'agire sociale in qualsiasi contesto ha un senso ed un valore politico

Possiamo pensare a noi ed alle nostre organizzazioni lavorative non solo come luoghi in cui la politica agisce dall'esterno (sostenendo, danneggiando, interferendo, imponendo), ma anche come ad ambiti di generazione di modelli, di assetti, di equilibri e scelte che qualificano e orientano in modo diverso le vite dei singoli e delle collettività? Non sono forse  diventati questi sistemi tra le principali agenzie di formazione dei cittadini? Il come nelle organizzazioni ci abituiamo a pensare, a considerare l'altro, a gestire la scarsità delle risorse, le differenze, la sofferenza, il tempo, il come si pensa al futuro e lo si affronta, non influenzano significativamente il nostro modo di rapportarci al contesto più ampio? Ciò non ha un senso ed un valore politico?

Le organizzazioni formano non solo le nostre competenze professionali, ma anche in una certa misura, il nostro modo di pensare e di vedere le organizzazioni stesse e il mondo di cui siamo parte, gli altri soggetti che lo costituiscono. Come ben sappiamo, non solo siamo in queste organizzazioni, ma anche, noi stessi, le costituiamo, non solo siamo formati, ma anche contribuiamo a formare i pensieri, le fantasie, le rappresentazioni che animano questi sistemi sociali.

Come sappiamo e ci ripetiamo in molti ambiti, viviamo in una società che da qualche decennio è attraversata da fratture e disorientamenti nel sistema dei suoi valori fondativi, dei suoi ideali  e dei suoi riferimenti etici. La scelta del rifugio nell'antipolitica, così come nell'individualismo, paiono oggi movimenti diffusi proprio in un momento in cui crisi di vario genere locali e globali, sembrerebbero richiedere un grande sforzo collettivo ed un coinvolgimento diffuso di intelligenze.

Alcuni ripiegano verso posizioni individualistiche, si concentrano nella difesa di privilegi o anche soltanto di posizioni acquisite, oppure si isolano in comunità circoscritte ben separate e distanziate, che vedono l'esterno solo come minaccia.

fig buon governoTroppo spesso  si fa coincidere tout court la "politica" con l'agire dei politici, come se essa fosse prerogativa esclusiva di coloro che si misurano sulla base del consenso. Ma se consideriamo il vero significato del "fare" politica come partecipazione alla gestione della cosa pubblica per il soddisfacimento del bene di tutti, essa riguarda "tutti" noi nel nostro agire quotidiano in qualsiasi contesto sociale, anche nell'esercizio delle nostre attività lavorative, e non esclusivamente chi fa politica attiva.

Una distinzione classica che si è affermata nella nostra cultura è quella tra i tecnici ed i politici. Questa distinzione nella nostra attuale società non avrebbe senso se consideriamo che i tecnici, i professionisti, gli operatori, i dirigenti fanno spesso anche un lavoro che ha un senso ed un alto valore politico.

Per contro, ci sarebbe da chiedersi quanto i politici - quelli che si misurano sul consenso - siano anch'essi tecnici (magari della elaborazione di politiche, dei processi deliberativi, della comunicazione, …), e quanto il loro successo o le loro difficoltà siano connesse alle maggiori o minori competenze professionali. Quindi, cosa dovrebbe distinguere i poltici dai tecnici? La forma di nomina? Le competenze messe in campo? Le finalità? Gli interessi rappresentati?

Ebbene, senza confondere i rispettivi ruoli, possiamo pensare che anche noi stessi siamo soggetti dell'agire politico? Possiamo pensare che la politica sia fatta anche dal come agiscono le organizzazioni lavorative e quindi anche da come noi agiamo nelle organizzazioni?  Da come noi contribuiamo ad affermare, con i nostri comportamenti quotidiani, valori, ideali  e riferimenti etici, e da come contribuiamo a determinare una corretta finalizzazione e gestione della cosa pubblica?

Il sistema politico non è esso stesso una delle espressioni più visibili delle strutture e delle culture dei rapporti sociali?  E in questa realtà non hanno un peso importante tutte le istituzioni, le formazioni sociali intermedie, le stesse organizzazioni lavorative? Esse sono parte del mondo in cui agiscono, influenzano il contesto, indirizzano comportamenti e atteggiamenti culturali, contribuiscono a regolare assetti, legami, equilibri economici e sociali. Chi lavora all'interno di organizzazioni pubbliche e private, proprio nella sua operatività quotidiana, ha o può riconoscere di avere un ambito di azione politica? Pur avendo competenze limitate e ritrovandosi entro gerarchie e frammentazioni che ostacolano collegamenti e integrazioni, possiamo assumere di avere qualche responsabilità nell'influenzare le situazioni in cui viviamo?

Riferimenti

- APS, "Senso e valore politico dell'agire nelle organizzazioni", giornate di studio, Milano, ottobre 2008

- Crozier, M., Friedberg, E., Attore sociale e sistema: sociologia dell’azione organizzata, Etas, 1978

- Orsenigo A., "La valenza politica dell'agire nelle organizzazioni lavorative", Rivista Spunti, n.12 10/2009

- Sen A., La libertà individuale come impegno sociale,  Laterza, 1997

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