Occorrerà che qualcuno si occupi di quello che avviene dentro l’azienda perché lì si determinano le condizioni per lo sviluppo

Ecco come un giornalista lucido (Marco Panara su La Repubblica) riesca a descrivere più efficacemente di tanti economisti, quali siano le ragioni per le quali la produttività in Italia non cresce: "Ce ne sono di due ordini, il primo è quello che accade dentro l’impresa e il secondo (non in ordine di importanza) è quello che c’è fuori, ovvero il famigerato contesto.

Cominciamo dal primo. Dentro l’impresa ci sono la proprietà, la gestione, gli investimenti, l’organizzazione del lavoro. La proprietà è nell’85% dei casi familiare, poco meno della Germania e poco più della Francia e della Spagna, in linea quindi con il resto dell’Europa, la differenza è nella gestione: in Francia e Germania meno del 30% delle imprese familiari hanno manager di famiglia, in Italia oltre il 66%, il che spesso vuol dire che non si è scelta la opzione migliore ma si è privilegiato quello si aveva in casa con il rischio di una gestione non ottimale delle risorse.
Il secondo punto caldo sono gli investimenti, che fino al 2007 non sono stati troppo inferiori alla media degli altri paesi comparabili, ma che non è chiaro dove siano andati: quelli in macchinari sono crollati, come dimostrano il fatto che tra il 2000 e il 2010 la quota degli ammortamenti sul fatturato è scesa dal 6,5 al 3,8% e che nello stesso arco di tempo la vita media dei macchinari è balzata da 10 a oltre 16 anni. E sono stati bassissimi, sotto la media europea e la media Ocse, quelli in asset intangibili, ovvero brevetti, ricerca e sviluppo, formazione. «La crescita della produttività del lavoro modesta - è scritto in L’innovazione come chiave per rendere l’Italia più competitiva, un documento pubblicato dall’Aspen lo scorso marzo - è dipesa essenzialmente da un livello molto basso in investimenti in capitale e capitale umano, accompagnati da investimenti minimi in “intangible assets". Tutto ciò ha determinato una crescita negativa della produttività totale dei fattori». Sulla stessa linea è l’occasional paper della Banca d’Italia di aprile 2012 dal titolo Il gap innovativo del sistema produttivo italiano.
Infine, dentro l’azienda, c’è l’organizzazione del lavoro, che dove non sono arrivati accordi sindacali innovativi (che in molte aziende e settori ci sono stati) è rimasta troppo rigida dentro la fabbrica e dentro l’impresa. E c’è un altro elemento importante: come ormai dimostrato da molte analisi, il largo ricorso al lavoro precario diminuisce la produttività ed ha anche l’effetto collaterale che il lavoro superflessibile in uscita e a basso costo disincentiva gli investimenti. Il che ci fornisce la fotografia di quello che accaduto in Italia fino al 2007, occupazione in salita, pochi investimenti, produttività declinante. In mezzo tra quello succede nell’impresa e quello che c’è fuori c’è la dimensione dell’impresa e il suo rapporto con il mercato. E qui, anche qui, sono dolori, i dolori di sempre. Dei 4,4 milioni di imprese che ci sono in Italia il 94,8% hanno meno di 10 addetti, mentre quelle grandi (con oltre 250 addetti) sono solo 3.502. Niente di male in assoluto, se non fosse che il valore aggiunto per addetto delle microimprese, pari a circa 25 mila euro l’anno, è pari a metà di quello delle medie imprese e due volte e mezzo più basso di quelle grandi (60 mila euro). Il che vuol dire che avere una quota così rilevante di piccolissime imprese abbassa la produttività media e, in un mondo globalizzato e senza più svalutazioni, è come una zavorra sulla crescita della competitività …."

E poi continua sottolineando che politiche economiche ed attori sociali devono occuparsi “di quello che avviene dentro l’azienda …. perché è una componente importante della partita”: "aumentare la produttività è necessario … Ma potrà essere un aumento della produttività difensivo per fare le stesse cose di prima ma con meno lavoratori, ovvero ulteriore disoccupazione. Oppure produrre molto di più o cose di maggior valore impiegando molte più persone, ma questo richiede la capacità di spostarsi verso settori più avanzati, di creare prodotti nuovi e vincenti, di creare e conquistare nuovi mercati.”

La Repubblica, 17 settembre 2012

Tags: innovazione e project management

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