Scuola e potere

Esiste, nella scuola, un potere da gestire? Ma, soprattutto, esiste a scuola una gestione del potere? Quindici anni di presidenza mi inducono ad una risposta positiva per entrambe le domande, anche se occorre preventivamente interrogarsi sulla natura di tale potere: se esso cioè debba intendersi come la gestione del potere formale (osservanza e applicazione di norme e procedure) o come l'effettiva possibilità di governare una organizzazione (la scuola in questo caso) per modificare le prassi esistenti e indurre le trasformazioni richieste dalle nuove e diversificate esigenze di una società in continua e rapida evoluzione.

Se è vero - come è opinione comune e come io stessa ritengo - che il core del servizio di istruzione risiede nell'attivazione dei processi di insegnamento-apprendimento per la formazione "dell'uomo e del cittadino", occorre uscire dall'ambiguità che connota l'attività di chi opera nelle scuole come un contesto burocratico regolato dal principio della legalità e della legittimità degli atti. Scuola potereNonostante si sia nel tempo introdotto prepotentemente la responsabilità dei risultati quale principio regolatore dei rapporti tra lo Stato e i cittadini, pare che la Scuola sia rimasta estranea al movimento virtuoso introdotto dalla regolamentazione che ne è seguita, e i docenti, nell'esercizio della loro professione centrata appunto sulla organizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento, continuano a richiamarsi ad una male intesa "libertà di insegnamento" che, introdotta nella Costituzione come baluardo alle discriminazioni derivate dalle leggi razziali del ventennio fascista, è diventata l'alibi per sottrarsi ad ogni responsabilità sui risultati della loro azione professionale che non derivi dalla mera osservanza di norme e regolamenti.
D'altra parte, l'oscillazione del potere formale tra una definizione dettagliata dei soggetti collettivi che concorrono alle singole decisioni e la frammentazione delle competenze tra molte diverse componenti (Collegio dei Docenti, Consiglio di Istituto, Consiglio di classe, interclasse, intersezione) impedisce di attribuire ai singoli una responsabilità reale quando, come in questo frangente, sia necessario ricorrere a forti correzioni di rotta, alimentando una sorta di resistenza passiva, agita in silenzio e collettivamente, verso quella riforma del sistema chiesta con forza a Lisbona dall'Unione Europea, da tante parti auspicata, da molti regolamentata, da tutti attesa come inevitabile se non a costi altissimi per l'intero sistema Paese.
Chiunque sappia di scuola, ne abbia letto sui giornali o abbia avuto a che fare con docenti e dirigenti scolastici, sa infatti che nella scuola esiste una mappa del potere reale che, benché occulta (o forse proprio perché occulta), si contrappone al potere formale, si nasconde dietro di esso, mascherando la conservazione in cui è arroccata, e dissimulando i fini meramente utilitaristici perseguiti dal singolo e dalla categoria; è agita in trama, ai livelli della subcultura, piuttosto che esplicitata nell'esercizio di poteri magari forti ma indirizzati ad una mèta dichiarata a priori; reitera il "patto scellerato" (ci pagano poco per lavorare poco, e non essere sottoposti a controlli reali, disse una volta un docente del mio collegio) tacitamente sottoscritto dal mondo della scuola a livello sociale e sindacale; diventa un potere di interdizione silenziosa che viene costantemente esercitato nella scuola di tutti i giorni: e non c'entra se fin dal 1999 il Regolamento dell'Autonomia ha ridefinito la mappa del potere esplicito attribuendo alle Istituzioni Scolastiche il compito e la responsabilità di definire il Curricolo; così come non c'entra se nel settembre 2007 le Indicazioni per il Curricolo hanno invitato le scuole a confrontarsi con la necessità dell'innovazione. La partita è giocata su altri piani, persa finora per la scarsa consapevolezza di chi, operando nella scuola, non è interessato al suo sviluppo ma alla sua conservazione.
Le ragioni del cambiamento rappresentano un livello di elaborazione troppo alto per essere comprese e agite da una categoria che, per utilità personale e di molti altri, ha scelto di lavorare poco, non subire controlli reali, continuare a ripetere l'unico modello trasmissivo a lungo sperimentato, clonare un sistema che ha dato in passato risultati positivi senza interrogarsi se i cambiamenti epocali in cui ci troviamo richiedano una altrettanto epocale trasformazione, non riconoscere di essere vincolato ad una qualifica impiegatizia (il lavoro di chi opera nella scuola è ancora regolato dal D.I. n° 3 del '53 come per tutti gli impiegati dello Stato) che deve essere abbandonata se si vuole assumere il volto di chi, da vero professionista creativo e responsabile, diventa un progettista della formazione, capace di dedicare allo studio tempo ed energie, preoccupato di formare persone in grado di collocarsi nel mondo "come uomini e come cittadini", strategicamente rivolto a costruire percorsi differenziati, articolati e flessibili che offrano a tutti gli studenti la possibilità di raggiungere risultati concreti e verificabili, orientato a pensare la scuola come una organizzazione complessa in cui ciascuno può/deve collocarsi con un ruolo e un compito specifici, reticolarmente connesso ad altri nodi vitali per conseguire uno scopo comune.
Nessuna Autonomia reale (sinonimo di flessibilità, e responsabilità nelle scelte) potrà essere esercitata se le persone che devono realizzarla non arrivano a comprenderne il senso, non ne colgono l'utilità per se stessi, prima ancora che per gli alunni cui si rivolgono e per il Paese alla cui economia dovrebbero concorrere; se, in una parola, quelle stesse persone non rispondono delle scelte non fatte. Nessun Curricolo sarà scritto veramente se chi dovrebbe pensarlo e realizzarlo deve impegnarvi tempo non pagato a sufficienza, e se l'immaginario collettivo ritiene buone le scuole ferme a venti anni fa, condannando senza appello le poche Istituzioni che, misurandosi con l'innovazione, hanno intrapreso la difficile via del cambiamento per rispondere alla nuova sfida dell' "educare istruendo" posta dalla società postindustriale. Nessun potere formale, se esercitato da un Dirigente cui non sia attribuito un effettivo potere di controllo e di sanzione, potrà smuovere le persone che abbiano deciso di continuare a navigare tra le norme da applicare, piuttosto che assumere la responsabilità di decisioni difficili e impopolari che diminuiscono il proprio potere di interdizione condannandosi a lavorare di più e ad essere controllate.
Ma c'è un secondo piano su cui si esercita il potere occulto all'interno delle Istituzioni Scolastiche: è il piano delle relazioni personali che dovrebbero dar luogo all'incontro, al confronto e alla condivisione per costruire, in ogni Collegio Docenti, la comunità professionale; spesso, invece, diventano lo strumento per dar vita ad una vera e propria gerarchia - umana e professionale - che, inesistente sul piano formale, è fortemente radicata nella percezione comune e sostanziata da norme non scritte. È nello sviluppo delle relazioni personali che si stabilisce chi veramente esercita il potere: è nell'arroganza con cui certi docenti anziani accolgono i giovani, nella sufficienza (e a volte il disprezzo) con cui si guarda alle esperienze innovative, nella rivendicazione dei successi del passato, nella certezza incrollabile delle proprie sicurezze, chiusa a qualsiasi interlocuzione dialogante, nella fragilità dell'essere che si riveste con una corazza impermeabile alla comunicazione, nel silenzio con cui si partecipa ai Collegi Docenti senza lasciarsi coinvolgere dalla discussione comune, nella resistenza passiva alle decisioni importanti; è in tutto questo che il potere - occulto - viene esercitato, più o meno consapevolmente, per ostacolare l'avvio delle innovazioni e rimanere ancorati ad una tradizione tanto rassicurante quanto obsoleta e improduttiva.
Eppure, è in questo panorama che deve introdursi il Dirigente che intenda occupare uno spazio di potere reale, rivolto al cambiamento organizzativo ma mostrandosi attento ai bisogni del singolo (la leadership trasformazionale); esercitare una influenza positiva sulle persone promuovendo le potenzialità di ciascuno (la leadership educativa); aprire finestre verso il futuro, guardando alla realtà di tutti i giorni ma strategicamente orientato a realizzare un mondo diverso. Nessuno ci ha insegnato tutto questo quando ci siamo preparati per la nostra professione di dirigenti: molti ci hanno raccomandato di essere attenti alle norme e alle procedure, altri ci hanno indicato - come mète da raggiungere - le prospettive aperte dagli orientamenti dell'Unione Europea, in qualche caso ci hanno parlato dell'apprendimento organizzativo, ma nessuno ci ha avvisato che il potere reale, volto alla trasformazione del sistema, lo avremmo conquistato solo se avessimo riconosciuto le ansie e le attese delle persone che vivono e lavorano nella scuola (dai docenti ai bidelli, agli impiegati della segreteria), se fossimo riusciti a intercettare il loro immaginario (dagli alunni ai loro genitori), se fossimo riusciti a dare risposte credibili ai mille interrogativi sul senso dello stare a scuola e sul significato di una formazione che torni ad essere capace di interpretare il mondo fuori della scuola.
È questo lo spazio in cui, anche nella scuola, vale la pena di mobilitare le risorse per una seria formazione del personale, a partire dai Dirigenti Scolastici su cui prioritariamente occorre investire come motori del cambiamento se si intende avviare un processo virtuoso che, di qui a qualche decennio, potrà restituire alla scuola la dignità e il prestigio sociale che le consentono di tornare ad essere "un luogo e un soggetto di produzione della cultura".
Come Bob Kennedy, mi piace pensare che "alcuni uomini vedono le cose per quello che sono state e ne spiegano il perché. Io sogno cose che ancora devono venire e dico: perché no" .

Post scriptum
Questo contributo è stato scritto sette anni fa. L'autrice ha ormai accumulato 22 anni di presidenza, va in pensione (purtroppo, e con grande dispiacere!) al 31 agosto. Confermo tutto il contenuto, anche se - mantenendo intatto il senso di quello che ho scritto sette anni fa - oggi lo scriverei in modo diverso, perchè nel frattempo io sono riuscita a debellare il potere occulto dentro la mia scuola. Ho costruito una comunità professionale molto avanzata ; ho realizzato una comunità educante forte e coesa e lascerò (così mi dicono tutti) un grande vuoto difficilmente colmabile, perché fortissime sono le relazioni umane su cui ormai è fondato il gruppo molto ampio delle persone che con me operano e collaborano alla realizzazione della "buona scuola". Oggi, forse, racconterei, come ho fatto a realizzare tutto questo proprio a partire dagli ultimi tre capoversi dell'articolo e, se devo dare una priorità, proprio dall'ultimo: "io sogno cose che devono ancora venire e dico: perché no". Ancora oggi, che sono alla fine della carriera, e non so ancora dove e come si possa collocare il sogno di qualcosa che deve ancora venire.

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