Il Paese ha bisogno degli "intellettuali" per ritrovare nuove mete

Dice Zanuzzi sul webmagazine HRonline "Siamo nell'economia del sapere, abbiamo una partecipazione elevata all'istruzione superiore, le grandi imprese sviluppano tecniche sempre più sofisticate di knowledge management, va crescendo la consapevolezza che l'incremento del valore delle organizzazioni passa attraverso lo sviluppo del cosiddetto "Capitale Intellettuale" delle stesse, eppure si avverte forte l'assenza degli "intellettuali" nella vita politica e sociale, e non solo del nostro Paese.

Perché questa percezione? Chi sono gli intellettuali o chi dovrebbero essere? Cosa nasconde questa percezione? Di chi e di che cosa in realtà si sente l'assenza ?  Frank Furedi, professore di Sociologia all'Università di Kent, Canterbury, nell'omonimo libro "Che fine hanno fatto gli intellettuali?" ha avuto il coraggio di ripercorrere la storia ed infrangere alcuni tabù della società contemporanea. Dice Furedi :

"... Una parte minoritaria dell'opinione pubblica continua a ritenere che la
democratizzazione della vita intellettuale e culturale debba inevitabilmente
condurre alla dequalificazione degli standard. Dal punto di vista di una difesa
oligarchica della cultura alta, qualunque tentativo di coinvolgere il
pubblico non può che portare al trionfo di una forma inferiore di cultura di
massa."
Dice ancora Furedi "...Gli intellettuali svolgono in vari modi un
ruolo cruciale nell'avviare il dibattito e nel suscitare la curiosità e la
passione del pubblico. Oggi questo impegno è assolutamente debole. Com'era
prevedibile, il cinismo delle elite culturali nei confronti del sapere e della
verità è stato trasmesso al pubblico attraverso le istituzioni culturali e
formative e i media. Apatia e disimpegno sociale sono sintomi di una cultura che
tende a equiparare il dibattito con un banale scambio di opinioni tecniche".
Conclude Furedi " La trivializzazione del potenziale culturale del pubblico
ha importanti conseguenze per il futuro della riflessione intellettuale. Gli
intellettuali hanno bisogno di un pubblico intelligente, e gli artisti di
un'audience critica attiva. Malauguratamente, la politica della lusinga
culturale non incentiva le persone a mostrarsi all'altezza della situazione. Di
conseguenza, l'insieme delle energie creative della società viene sprecato nel
creare e rispondere alle esigenze del riconoscimento. Coloro che insistono
sull'opportunità di intraprendere una genuina impresa di scoperta intellettuale
rischiano di essere etichettati come elitari e anacronistici. Gli intellettuali
dentro e fuori l'Università, e i loro colleghi nel mondo della cultura e delle
arti, devono rassegnarsi a un triste destino di irrilevanza se consentiranno
alle attuali pressioni istituzionali di dominare il loro lavoro. Alcuni di noi
hanno attivamente interiorizzato la politica della lusinga culturale, mentre
altri hanno cercato la strada più facile accondiscendendo alle richieste
istituzionali. Gli intellettuali devono ridefinirsi reclamando quell'autonomia
per la quale i loro predecessori hanno combattuto in passato. Questa autonomia
può essere costruita nel modo migliore venendo incontro al desiderio del
pubblico di essere preso seriamente, e aiutando a coltivare tale aspirazione. In
un periodo di infantilizzazione della cultura, trattare le persone come adulti è
diventato uno dei doveri principali dell'intellettuale umanista..."

Sempre Zanuzzi commenta "Perché l'assenza di fatto degli intellettuali, della loro capacità di analisi, elaborazione, stimolo, proposta e "messa in opera" delle idee prodotte è un gravissimo deficit della nostra società. Che futuro volete che abbia una società che non produce più idee innovative, che non elabora, che non trascina, che non realizza? Che futuro volete che abbia una società nella quale la cosiddetta classe dirigente, avendo smesso di produrre idee e di tradurre le idee in progetti, non dirige un bel niente se non l'autoreferenzialità del proprio potere? Questa situazione sembra piuttosto il prodotto di una società "decadente". Ha ragione Furedi quando afferma che gli intellettuali hanno bisogno di un pubblico intelligente. Ma su questo punto ci sono altre cose da dire. Perché se il pubblico non è intelligente (o sufficientemente intelligente) è anche perché gli intellettuali che sono venuti prima hanno preferito inondare il pubblico di partite di calcio o di soap opera piuttosto che di istruzione qualificata, formazione civica, umana e professionale. Se il pubblico non è sufficientemente intelligente è anche perché la direzione degli strumenti che formano gli individui che compongono il pubblico ha avuto per molti anni esattamente l'obiettivo opposto, ovvero di generare un pubblico poco intelligente (l'esempio del sistema di istruzione e dei mass media in questo senso è eclatante). La civilizzazione di un popolo (termine e concetto che non va più di moda e che si utilizzava in epoche coloniali) non dipende da quanti cellulari o autovetture ci sono in circolazione o da quanto spende in viaggi e vacanze, né dal PIL che produce ma da COME affronta e risolve i suoi problemi. E nella misura in cui riesce a farlo pacificamente, con il massimo del consenso possibile e con buona soddisfazione dei suoi cittadini si evolve e cresce.
Che fine hanno fatto i nostri intellettuali? Che fine ha fatto la nostra classe dirigente? L'agognato "rinascimento italiano" evocato a più riprese ora da questa, ora da quella classe politica a fini propagandistici, potrà avere un reale fondamento solo nella misura in cui "gli intellettuali veri" torneranno a fare ciò che gli compete, ovvero indicare una strada, un percorso, una meta alta e al di sopra degli interessi particolari. "

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