Anche la formazione deve essere Lean

Il contesto della formazione è cambiato e ha reso anacronistici gran parte degli approcci alla formazione più in voga nell'ultimo decennio del secolo scorso: lunghi percorsi di sensibilizzazione, socializzazione e cooptazione legati ai momenti chiave della carriera (neo assunto, supervisore, quadro, dirigente); programmi, articolati su decine di descrittori e volti a colmare gap di competenza tecnica e gestionale; corsi per il potenziamento delle soft skill (come comunicare meglio, come lavorare in team, come negoziare,...).

Non molto tempo fa appariva legittimo e funzionale dedicare una intera giornata a stabilire il "patto formativo d'aula" o due settimane alla conoscenza dei principi della contabilità o alla illustrazione delle teorie dei sistemi applicate alle organizzazioni. L'idea di fondo era: ti fornisco all'inizio della tua carriera le conoscenze/competenze di cui potresti aver bisogno in futuro e poi faccio dei richiami manutentivi legati al (raro) aggiornamento della conoscenza o ai (pochi) cambiamenti di ruolo. 

fig formazione leanLe competenze erano considerate un patrimonio "asincrono" rispetto al momento in cui si presumeva potessero essere adoperate, "a-contestuale" e potenzialmente ridondante. La contestualizzazione era invece lasciata alla esperienza che si consolidava negli anni grazie all'esercizio di ruoli relativamente stabili.

Alcune trasformazioni, relativamente recenti, che non possono lasciare la formazione indifferente:

1.Il miglioramento del livello medio di istruzione, la diffusione dei master e la maggiore vicinanza del mondo scolastico a quello aziendale, hanno ridotto l'utilità dei programmi formativi aziendali volti a sensibilizzare alle problematiche organizzative e promuovere l'esercizio delle skill soft e gestionali.

2.L'accessibilità istantanea al web e alle reti sociali, grazie a smartphone, tablet e presto "occhiali" e "orologi" sempre connessi, ha di fatto sovrapposto conoscenza "personale" e conoscenza "distribuita".

3.La cosiddetta "open innovation" e la "produzione sociale" di servizi e beni a costo zero, dopo essersi fatte le ossa con software e musica, hanno investito risorse educative e conoscenze disciplinari, coinvolgendo anche università e business school ai vertici mondiali.

4.L'instabilità di ruoli professionali, processi e tecnologie ha reso vita difficile agli approcci basati su skill-gap analysis e alla gestione sistematica delle competenze, anche a causa della impossibilità da parte delle imprese di pianificare percorsi professionalizzanti e di carriere di medio-lungo periodo.

5. Molte imprese hanno sostituito l'implementazione ordinata di piani strategici con la ricerca di opportunità "short term", flessibilità e velocità di reazione agli imprevisti (strategie emergenti). Le persone sono conseguentemente spesso valutate per la capacità di farsi carico, affrontare e risolvere problemi. La competenza (personale o distribuita) e la specializzazione nella gestione di processi consolidati sono prerequisiti, peraltro non sempre necessari.

6.La crescente disponibilità, anche in tempo reale, di job aid, manuali, tool e "istruzioni operative" (dalle ricette di cucina alla programmazione di un PLC) ha reso potenzialmente più autonome le persone nella ricerca di propri percorsi personali di apprendimento e crescita.

Oggi, a fronte di un percorso scolastico solido, i "fondamentali aziendali" si apprendono in sessioni da 4 o 8 ore o, meglio, attraverso il web o i portali B2E. Le istruzioni operative sono disponibili nel momento in cui servono. Così come possiamo dire di "conoscere l'ora", non perché l'abbiamo memorizzata ma semplicemente perché abbiamo un orologio; presto potremo dire la stessa cosa di qualunque informazione (a condizione, come peraltro anche per l'ora esatta, di conoscerne le fonti affidabili, i "codici" e i "linguaggi").

Così la formazione è utile se capace di contribuire (qui ed ora) alla soluzione dei problemi, accelerare la costruzione dei contesti (la cd. conoscenza situata) e potenziare il feedback che viene naturalmente dal campo (attraverso la sperimentazione di successi e fallimenti). Agisce sempre più da fluidificatore di dinamiche che non progetta, non attiva e non controlla in esclusiva.
Pur avvicinandosi a questa nuova esigenza, anche le tradizioni dell'action learning e dell'experiential learning, nella loro dimensione simulata e analogica, piuttosto che lasciarsi travolgere dalle dinamiche reali, preferiscono applicarsi a realtà simulate, certamente progettabili e controllabili nei possibili effetti e, proprio per questo, talvolta inutilmente ridondanti e fuori "contesto".

Alcune modalità ispirate al "problem based learning" sono più attuali, a condizione di accontentarsi di affiancare i problem solver reali, rendere loro disponibili "scaffolding resources" (tool, pillole operative, reti di esperti, lesson learnt) e percorsi possibili (ma non esclusivi), svolgere una funzione di collegamento tra le diverse comunità di pratica, di decodifica dei rispettivi linguaggi, di facilitazione e feedback. Lo stesso formatore accetta di annullare la sua natura e il suo naturale protagonismo per trasformarsi in un "discourse technologist", un mediatore o un coach.

Essere "lean" (ovvero tempestivi, utili, efficienti) non significa affatto rinunciare alla ricchezza dell'apprendimento ma raccogliere la sfida di uscire dalle aule per essere presenti e utili dove le persone affrontano i problemi reali. Un esempio concreto è costituito dai cosiddetti "business driven workshop", incontri virtuali e/o in presenza guidati principalmente da un preciso obiettivo di business (un problema, un nuovo concept di prodotto, un nuovo mercato,...). Qui il formatore accetta di restare sullo sfondo e di mettersi in gioco per valorizzare le ricadute di apprendimento individuale e collettivo, potenziandone al contempo l'efficienza (arrivare prima al risultato) e l'efficacia (chiudere il gap tra pensiero e azione collettiva).
Essere "lean" significa anche misurare l'impatto derivante dall'applicazione ai problemi reali di metodi e tecnologie strutturate di apprendimento. In questo caso un esempio è l'utilizzo delle metodologie del cost deployment per misurare le efficienze e i benefici economici riconducibili a iniziative di affiancamento sul lavoro.

Riferimenti

Il tema può essere approfondito sul Blog del Bicocca Training & Development Centre , il centro di ricerca dell'Università di Milano-Bicocca diretto da R. C. D. Nacamulli , dove è possibile trovare su questo tema diversi contributi tra cui anche quello di R. Cesaria.

Tags: coaching e formazione manageriale

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